IL GIUDICE DI PACE DI VENEZIA Nel procedimento Rgnr n. 585/2011 - Rg.Gdp 164/2015, premesso: che nella fattispecie di reato al procedimento in oggetto riguarda il reato di ingiurie, fatto previsto e punito dell'art. 594 codice penale; che la parte civile costituita ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3, legge n. 67 del 28 aprile 2014 (quale legge delega) e dell'art. 1, lettera c), del decreto legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016 che ha abrogato il suddetto reato di ingiurie ex art. 594 codice penale per cui e' processo; che il P.M. si e' associato alla richiesta della parte civile, mentre la difesa dell'imputato si e' opposta richiesta; tanto premesso il giudice remittente osserva quanto segue. 1 - Inquadramento normativo. L'oggetto del giudizio riguarda il reato di ingiurie previsto e punito dall'art. 594 codice penale. Tale reato e' stato abrogato dell'art. 1, lettera c), del decreto legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016 quale norma attuativa della Legge delega n. 67 del 28 aprile 2014, art. 2, comma 3. Di tali norme abrogative il remittente dubita della legittimita' costituzionale. L'art. 594 codice penale era inserito nel Capo II, Titolo XII del Libro II del codice penale riguardante i delitti contro l'onore. L'onore costituisce uno dei beni fondamentali della persona umana riconosciuto tra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 della costituzione, nei quali sono compresi il diritto alla vita, all'incolumita' fisica e alla liberta' personale. La stessa Corte costituzionale infatti lo annovera tra i beni e gli interessi inviolabili in quanto essenzialmente connessi con la persona umana (Corte costituzionale n. 86/1972 e n. 38/1973). Si tratta quindi di un bene giuridico ascritto nel rango dei diritti essenziali, assoluti, personali, non patrimoniali, inalienabili, intrasmissibili, imprescrittibili, originari e innati, ed e' estrinsecazione, nelle societa' democratiche, del fondamentale principio di uguaglianza di tutti gli essere umani che trova le sue profonde radici nel principio del rispetto per ogni persona, per ogni essere umano, senza alcuna distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. In tale contesto il legislatore e' intervenuto emanando le due richiamate leggi ordinarie che hanno abrogato il bene tutelato dagli articoli 2 e 3 della costituzione. Il remittente dubita quindi della legittimita' costituzionale delle suddette disposizioni normative rispetto agli articoli 2 e 3 della Carta Costituzionale. 2 - Sulla rilevanza della questione. 2.1 - La questione di legittimita' costituzionale, sollevata dalla parte civile, appare rilevante ai fini della decisione poiche' sussiste un nesso di pregiudizialita' necessaria tra il giudizio a quo ed il giudizio di legittimita' costituzionale. Ed invero nel vigente quadro normativo il giudice di pace sarebbe tenuto a dichiarare di non doversi procedere ex art. 129 codice procedura penale dal reato di ingiurie perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato. Tuttavia il dubbio di legittimita' costituzionale della nonna abrogativa comporterebbe, in caso di abrogazione della norma incostituzionale, la riespansione della rilevanza penale del comportamento oggetto del reato di ingiurie con conseguente obbligo per il giudice di celebrare il processo e verificare in dibattimento la sussistenza o meno della fattispecie delittuosa che potrebbe comportare la condanna dell'imputato. Ne consegue che la questione della costituzionalita' della norma abrogativa del reato di ingiurie possiede una incidenza attuale nel procedimento a quo perche' ha ad oggetto la norma abrogativa del comportamento delittuoso in base al quale e' stato instaurato il presente giudizio nei confronti dell'imputato. 2.2 - La rilevanza della questione appare sussistere anche se l'oggetto riguarda norme penali di favore e precisamente norme abrogative di ipotesi delittuose come nel caso di specie. Il remittente e' a conoscenza dell'indirizzo contrario alla sindacabilita' delle norme penali di favore, tuttavia lo scrivente ritiene che l'applicazione di tale orientamento porterebbe a conseguenze contrarie alla tutela della Costituzione. Si deve considerare infatti che se fosse preclusa la sindacabilita' della norme penali di favore, i dubbi di legittimita' costituzionale sulle norme sicuramente applicabili nel giudizio a quo e ritenute dal giudice non manifestamente infondate, non potrebbero essere posti al sindacato della Corte con l'aberrante conseguenza che le norme penali di favore sfuggirebbero al controllo di costituzionalita' precludendo lo strumento atto a garantire la preminenza della costituzione sulla legislazione statale ordinaria. Sul punto si richiama l'orientamento della Corte costituzionale (espresso a partire dalla sentenza n. 148/1983) in base al quale e' possibile esperire il sindacato di costituzionalita' anche sulle norme abrogative o che escludano la rilevanza penale di certi comportamenti poiche' non e' possibile concedere l'immunita' a nessuna tipologia di norme della legislazione ordinaria rispetto alla Carta Costituzionale. In tal senso si' e' espressa anche la successiva giurisprudenza della Corte costituzionale affermando la sindacabilita' delle c.d. norme penali di favore ovvero di norme che stabiliscano, per determinati soggetti od ipotesi, un trattamento penalistico piu' favorevole di quello che risulterebbe dall'applicazione di norme generali e comuni (cfr. Corte costituzionale n. 394/2006). In tale decisione si e' altresi' precisato che la Corte non puo' certo configurare nuove norme penali, ma non le sono precluse «le decisioni ablative di norme che sottraggono determinati gruppi di soggetti o di condotte alla sfera applicativa di una norma comune o comunque piu' generale» con la sola conseguenza «dell'automatica riespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso gia' oggetto di una incostituzionale disciplina derogatoria» (cfr. Corte costituzionale n. 394/2006). Sotto tale profilo si richiama infatti la recentissima decisione della Corte costituzionale nella quale venne dichiarata l'incostituzionalita' della legge abrogativa del reato di associazione paramilitare, facendo rivivere la fattispecie penale (cfr. Corte costituzionale n. 5/2014). Alla luce di tale inquadramento il remittente ritiene quindi che alla Corte costituzionale non possa essere precluso lo scrutinio di costituzionalita' di qualsivoglia norma costitutiva o abrogativa fattispecie emanata dal legislatore con norme ordinarie. 3 - Sulla non manifesta infondatezza. Il requisito della «non manifesta infondatezza» della questione e' diretto ad evitare condotte delle parti dilatorie e si ravvisa nell'effettiva e concreta consistenza della questione di legittimita' che si esprime nei seguenti termini. 3.1 - Un primo aspetto e' relativo al fatto che le disposizioni abrogative del reato per cui e' processo determinano la fuoriuscita del bene dell'onore e del decoro dal sistema di tutela pubblicistica dei diritti fondamentali. Si osserva infatti che non ci sono diritti inviolabili di cui all'art. 2 della Costituzione che non siano protetti anche dalle norme penali, proprio in virtu' della massima tutela che ad essi viene garantita. La stessa Corte costituzionale ha infatti ritenuto che gli articoli 2, 3 e l'art. 13, primo comma, della Costituzione riconoscano e garantiscano i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali rientrano quelli del proprio decoro, del proprio onore, della propria rispettabilita', riservatezza, intimita' e reputazione, sanciti espressamente negli articoli 8 e 10 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo (cfr. Corte costituzionale n. 38/1973). In tale contesto si deve ritenere che la tutela dei diritti fondamentali ed inviolabili dell'essere umano, nei quali e' ricompreso il concetto di onore e di decoro, possa essere garantita «sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'» soltanto attraverso le norme penali, poiche' sono proprio le norme penali che sono poste, ontologicamente, a difesa dei diritti inviolabili dell'essere umano. Diritti inviolabili dell'essere umano che debbono essere tutelati dalle norme penali sia per l'efficacia deterrente della sanzione penale che per l'inadeguatezza delle sanzioni amministrative o civili che appaiono inconciliabili a prevenire, ricomporre o reprimere le condotte lesive dei diritti fondamentali. Nel caso di specie il legislatore ha approvato con legge ordinaria la contestuale abrogazione della fattispecie delittuosa dal codice penale ed ha introdotto una tutela privatistica del bene costituzionalmente protetto, utilizzando il medesimo testo del primo comma dell'art. 594 c.p., andando cosi' a degradare il reato ad un illecito civile sottoposto unicamente al nuovo istituto della sanzione pecuniaria civile (art. 4, del decreto legislativo n. 7/2016) e ledendo, ad avviso del remittente, gli articoli 2 e 3 della Costituzione posti a tutela dei diritti fondamentali della persona. 3.2 - Un secondo aspetto di non manifesta infondatezza e' quello relativo all'instaurazione di una diversa tutela sostanziale di fattispecie inerenti il medesimo diritto fondamentale costituzionalmente tutelato generando la violazione dell'art. 3 della Costituzione. Le norme oggetto di scrutinio di costituzionalita' hanno determinato con l'abrogazione dell'art. 594 codice penale una disparita' di trattamento con fattispecie criminose inerenti il medesimo diritto fondamentale. Ed invero l'art. 594 codice penale e l'art. 595 codice penale sono riconducibili alla stessa medesima ratio e allo stesso diritto fondamentale dell'onore, decoro, reputazione e rispettabilita' che trovano identica tutela codificata in due articoli differenti del codice penale in relazione alla presenza dell'offeso (integrando quindi il reato di ingiuria) o all'assenza dell'offeso (integrando invece il reato di diffamazione). Con l'abrogazione del reato di ingiuria la tutela del diritto inviolabile dell'onore e' lasciata unicamente alla fattispecie di cui all'art. 595 codice penale e cioe' al medesimo fatto commesso in assenza dell'offeso con evidente lesione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Le norme abrogative hanno infatti reso penalmente irrilevante la medesima condotta oggetto del reato di cui all'art. 595 codice penale qualora verificatasi in presenza dell'offeso. Non solo ma il dubbio di costituzionalita' si manifesta in maniera inequivocabile esaminando l'ipotesi aggravata di cui al comma 4 dell'art. 594 codice penale che cosi' disponeva: «Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di piu' persone». La scelta di perseguire un fatto «comunicando con piu' persone» in assenza dell'offeso (diffamazione) e di non punire il medesimo fatto «commesso in presenza di piu' persone» con la presenza dell'offeso (ingiurie) appare irragionevole, discriminante e in violazione dell'art. 3 della Costituzione. Basti pensare che rimane reato la lettera di lamentele inviata solamente a Tizio e Caio sulle qualita' etiche di Sempronio, mentre non e piu' ipotesi di reato la lesione dell'onore realizzata in presenza dell'offeso, in un pubblico convegno o in una trasmissione televisiva, pronunciando le piu' turpi ed offensive ingiurie in presenza della persona offesa. Sotto questo profilo il remittente dubita della legittimita' costituzionale delle norme abrogative del reato di ingiuria in quanto il legislatore ha considerato in modo difforme fattispecie che hanno ad oggetto l'identico diritto fondamentale costituzionalmente tutelato. 3.3 - Un terzo aspetto di non manifesta infondatezza e' quello relativo alla difforme tutela processuale garantita al medesimo diritto fondamentale nell'abrogato reato di ingiuria rispetto al reato di diffamazione. Nel giudizio a quo la persona offesa, costituita parte civile, e' l'unico soggetto indicato dal pubblico ministero come testimone del fatto storico oggetto dell'imputazione. Ne deriva che, nell'inquadramento ante abrogazione la persona offesa - parte civile poteva deporre e che la sua deposizione poteva essere posta a fondamento della decisione. Con l'abrogazione del reato tale effetto processuale non e' piu' applicabile. Ed invero con l'abrogazione del reato e l'introduzione della sanzione civile per il fatto ingiurioso la persona offesa potra' avere tutela giurisdizionale solo attraverso introduzione di un giudizio civile nel quale la possibilita' di deporre come testimone e' normativamente preclusa poiche' e' noto che nel giudizio civile la parte non puo' deporre a favore di se' stessa. Ne consegue che le ingiurie pronunciate nei confronti della persona offesa in assenza di testimoni sono destinate a restare nella sfera dell'impunita' non essendo possibile l'accertamento civilistico con la deposizione della sola persona offesa. Cio' determina una ingiustificata e irragionevole disparita' di trattamento con l'ipotesi delittuosa della diffamazione nella quale la persona offesa puo' costituirsi parte civile e deporre come teste fornendo al giudice gli elementi che possono essere posti a fondamento della decisione di responsabilita' dell'imputato. La norma abrogativa introduce quindi un trattamento deteriore dei fatti ingiuriosi e appare quindi trattare in modo completamente difforme situazioni analoghe e inerenti il medesimo diritto fondamentale con irrimediabile lesione dell'art. 3 della Carta Costituzionale. Alla luce delle ragioni sopra esposte il giudice rimettente ritiene di non poter prescindere dall'applicazione al caso di specie delle norme abrogative in oggetto che si ritiene debbano essere sottoposte al vaglio di costituzionalita'.